Le urne hanno consegnato all’Italia un verdetto chiaro. Due sono i vincitori di questa tornata elettorale: da un lato il MoVimento 5 Stelle di Luigi Di Maio, dall’altro la Lega di Matteo Salvini. Se il secondo ha conquistato la leadership del Centrodestra grazie ad un ingente 18%, il primo ha raccolto la pesante eredità di Beppe Grillo conducendo la formazione politica ad un risultato storico come quello del 32%. Due i vincitori quindi, numerosi gli sconfitti. Aspetto che condizionerà e non poco il futuro di quella che molti considerano la “Terza Repubblica”. Una posizione di forza che tuttavia rischia di logorare di più il primo partito rispetto al Carroccio.
La gestione della comunicazione dal M5S è risultata molto chiara nelle ultime settimane. Essendo un partito fuori dalle usuali logiche politiche, il compito dei Pentastellati era quello di raccogliere consensi tanto nell’area moderata quanto nell’area più “movimentista”. Se Luigi Di Maio ha provveduto a rassicurare, in un certo senso, quella parte di elettorato che guardava con interesse le aree più centriste, il parlamentare uscente Alessandro Di Battista ha invece puntato sulle fette di elettorato più attento più sensibile alle tematiche operaie e popolari. Una suddivisione di compiti che ha permesso al MoVimento di superare il momento di difficoltà legato al caso chiamato mediaticamente “Rimborsopoli”, gestito e rientrato in pochi giorni grazie alla mano pesante sui candidati non conformi al codice etico. Una campagna culminata con la presentazione dei possibili Ministri in caso di Governo a Cinque Stelle, giudicata evidentemente positiva dagli elettori.
Ma adesso arriva il difficile per Di Maio e compagni. La loro posizione è stata chiara in campagna elettorale: nessuna contrattazione sui Ministri poiché «patrimonio del Paese» e poiché «non etichettabili come personalità del MoVimento». In caso di passo indietro rispetto a questa tesi, il rischio per gli eredi di Beppe Grillo sarebbe quello di perdere il consenso da parte di chi li ha votati apprezzando sì la svolta governista, ma pretendendo comunque di mantenere una certa distanza dal parterre politico. Sostegno esterno e non governo tecnico, quindi. Ma è un’ipotesi realizzabile?
Attualmente è difficile pensare ad un governo di Centrodestra. La coalizione ha conquistato il 37% e non gode della maggioranza alle Camere. Risulta difficile ipotizzare, soprattutto con guida Salvini, un sostegno esterno da parte del Partito Democratico, irrealistico addirittura da parte di Liberi e Uguali, perfino se suggerito dal presidente Mattarella. Quale la conseguenza? Il leader del Carroccio, presa coscienza della situazione, potrebbe dunque accontentarsi del ruolo di leader del Centrodestra e aspettare che gli altri si “sporchino” le mani in vista di prossime elezioni.
Probabile quindi che il Presidente della Repubblica conferisca a Luigi Di Maio un preincarico per cercare i numeri che permettano la nascita del primo Governo a Cinque Stelle. Come detto in campagna elettorale il leader avellinese si siederà con il suo staff a tutti i tavoli aperti, i cui esiti potrebbero determinare le sorti future del MoVimento. Gli schieramenti sono delineati: da un lato la Lega potrebbe sostenere alcune sue istanze, dall’altro Liberi e Uguali ed un eventuale PD senza Matteo Renzi potrebbero abbracciare le tematiche più progressiste. Chiaro che senza un coinvolgimento ministeriale si tratterebbe di un appoggio legato ai temi e quindi di un Governo eventualmente molto fragile. Inevitabile inoltre che, pur trattandosi solo di appoggi esterni, tali accordi finirebbero per conferire una “cromatura” politica al MoVimento dal punto di vista mediatico. Aspetto che potrebbe incidere sull’elettorato pentastellato, pur avendo dimostrato più volte di essere legato più ai temi concreti.
Questione coperture economiche a parte, è evidente che Salvini abbia fatto sue alcune battaglie che ideologicamente apparterrebbero più ad ambienti riformisti: come per esempio il superamento della Legge Fornero e l’abolizione del Jobs Act. Due battaglie politiche che hanno inciso e non poco nel grande risultato del Carroccio, e che indubbiamente costituiscono un punto d’incontro con il MoVimento. Dall’altra parte l’eventuale riproposizione dell’Articolo 18, l’attenzione verso l’ambiente ed il reddito di cittadinanza li avvicina a Liberi e Uguali, nonché ad una parte di Partito Democratico che non vedrà grande rappresentanza in questo Parlamento. «Io farò ogni sforzo perché il PD sostenga il M5S nella formazione del governo», così ha sostenuto Michele Emiliano, Governatore della Puglia nonché uno dei personaggi di spicco della minoranza dem. Il tutto specialmente senza l’ingombrante presenza di Matteo Renzi, probabile dimissionario quest’oggi secondo le agenzie di stampa.
La situazione ideale per Luigi Di Maio sarebbe un monito da parte di Mattarella su un programma di punti trasversali, sui cui peraltro il leader pentastellato ha puntato in campagna elettorale. Riforme, quindi, caratterizzate da maggioranze parlamentari diverse. Una soluzione precaria e difficilmente realizzabile per via di chiare logiche politiche, che vedono comunque il Centrodestra a soli tre punti percentuali da quel famoso 40%. Una soluzione invece, quella del M5S con le forze più progressiste, che potrebbe perfino avantaggiare un Centrodestra vincente alle elezioni ma all’opposizione in Parlamento. Specie in caso di un accordo non così solido tra le due parti.
Tutto in gioco dunque nei prossimi giorni. Con il destino di quello che attualmente è il primo partito d’Italia appeso a un filo.