Relazione relativa al seminario accademico “Gli euroscetticismi: Resistenze e opposizioni alla Comunità/Unione Europea dalle origini ai giorni nostri”, svoltosi presso l’Università degli Studi di Genova tra il settembre e l’ottobre del 2016.
La parola “euroscetticismo” nacque nel 1971, in occasione dei negoziati per l’annessione del Regno Unito alla Comunità Europea. In altre parole, ancor prima che il Paese che oggi rischia di mettere in crisi l’assetto dell’Unione Europea venisse annesso alla Comunità già era stata definita un’etichetta che va molto di moda nello scenario della politica moderna.
Informandomi, un aspetto che mi ha colpito è che il contenitore dei partiti euroscettici spesso ha destabilizzato gli “affari” europei anche inconsapevolmente. Un esempio su tutti, seppur si stia parlando di un partito ancora moderatamente euroscettico a differenza dell’odierna “colorazione”, è quello del Front National di Jean-Marie Le Pen. Nel 1999, infatti, prese vita il primo tentativo di eurogruppo misto nel Parlamento Europeo, possibilità non prevista dal regolamento. La necessità, ovviamente, nasceva dalle minori possibilità di intervento in caso di mancata affiliazione ad un eurogruppo. Situazione in cui si trovava la Lista Bonino, reduce da un ottimo 8.5% alle Europee e quindi costretta a trovare una soluzione al dilemma ideologico in cui si trovava.
Come fare ad avere il giusto peso politico in Parlamento pur non volendosi affiliare sia al PPE sia al PSE? L’idea fu quella di creare un eurogruppo “tecnico” che permettesse un dibattito paritario anche per chi non si riconosceva un eurogruppo politici consolidati, arrivando però all’adesione del FN di Le Pen, che però aveva avuto pochissimo spazio nello scenario politico europeo fino a quel momento. Questa situazione fu alla fine analizzata dalla Commissione Affari Costituzionali per via della mancanza di “affinità politiche”, arrivando al punto in cui l’eurogruppo fu sciolto a causa di un voto europarlamentare. Una dinamica probabilmente pericolosa dal punto di vista della vulnerabilità e della sopravvivenza di un eurogruppo in un ecosistema parlamentare che avrebbe, quindi, la possibilità di fare frizione sugli avversari in maniera abbastanza agevole.
Una situazione in cui in parte si sono ritrovati due partiti euroscettici appartenenti attualmente all’EFDD, allora EFD, ovvero l’M5S Stelle e lo UKIP. Un eurogruppo di cui fa parte anche Sverigedemokraterna, entità politica svedese di estrema destra che nel 2014 ha fatto registrare un boom di voti: il 12.9%, una quantità di voti superiore alla somma dei voti ottenuti dalla fondazione nel 1988 al 2010. Quello italiano e quello inglese, sono due partiti caratterizzati da una matrice euroscettica differente al momento della formazione dell’eurogruppo. La situazione ha destato scandalo in Italia in quanto in origine, considerando sia il punto di vista delle votazioni online del partito italiano sia il punto di vista prettamente ideologico, è evoluta in un contesto di forte ambiguità: accordo politico oppure accordo tecnico? Il primo caso avrebbe inficiato l’immagine del movimento dal punto dal punto di vista della sua base elettorale ma avrebbe evitato ogni tipo di problema riguardante “affinità politiche” et similia; il secondo avrebbe salvato l’immagine del movimento, rischiando però di venire contestato in sede parlamentare.
In seguito il gruppo ha rischiato lo scioglimento definitivo a causa dell’abbandono della lettone Iveta Grigule, rimpiazzata però dal polacco Robert Iwaszkiewicz, eletto in patria con il Kongres Nowej Prawicy ma deciso ad abbandonare i suoi compagni di partito, rimasti nell’eurogruppo dei non iscritti. Nei mesi successivi la forbice euroscettica tra il M5S e lo UKIP si è allargata sempre di più al punto da portare i pentastellati a dichiarare che «l’Europa si cambia solo restando nell’UE», a seguito della vittoria del Leave in occasione del referendum consultivo inglese sull’uscita dall’Unione. Differenza ideologica che, tuttavia, non sembra abbia scalfito granché l’equilibrio all’interno dell’eurogruppo.
Ci sono partiti che nascono moderatamente euroscettici per poi “amplificare” questa loro vena. È il caso, per esempio del già citato Front National, divenuto profondamente euroscettico dopo l’avvento della figlia di Jean-Marie, ovvero quella Marine Le Pen che sta conquistando sempre più consensi in Francia. Il suo allenato italiano nell’eurogruppo ENF è la Lega Nord del segretario Matteo Salvini, prima della cui elezione il tema dell’Unione non era stato così preponderante nel dibattito interno ed esterno al partito. Un tema vissuto in prima persona da un Salvini che è stato eletto proprio alle Europee del 2014 da capolista in tutte e cinque le circoscrizioni di LN, pur facendo registrare un esiguo tasso di presenza dell’84% nel 2015 all’interno del Parlamento Europeo. Da notare come nell’ENF siano rientrati gruppi come il già citato Kongres Nowej Prawicy, i belgi del Vlaams Belang ed un transfugo dello UKIP, ovvero Janice Atkinson.
Un altro punto di vista interessante per studiare l’euroscetticismo europeo è la connotazione postideologica di una buona parte di essi, in relazione alle ideologie tradizionalmente predominanti nei relativi Paesi. In Italia abbiamo due grandi esempi di partito euroscettico postideologico, ovvero i già citati M5S e LN. Il Movimento di Beppe Grillo costituisce una novità nell’ecosistema politico ideologico italiano, ancora difficilmente analizzabile. Infatti, se da un lato alcuni voti online della base hanno lasciato trasparire una connotazione più sinistrorsa da parte dell’elettorato (come per esempio la votazione sull’abolizione del reato di clandestinità), da un altro alcuni punti di vista, dichiarazioni e prese di posizione sono state ambigue (volontariamente o meno), al punto da lasciare presagire qualcosa di più di un’apertura nei confronti del contenitore destrorso dell’elettorato. Per quanto riguarda la Lega, invece, il suo segretario passa da affermazioni xenofobe ed affermazioni destrorse (due aggettivi considerati spesso come sinonimi, erroneamente) a dialoghi con lavoratori appartenenti alle classi sociali più colpite dalla crisi. In questo contesto chi critica l’ambiguità di questi due partiti, ovviamente, sostiene la demagogia relativa alla comunicazione di certe tematiche nei modi e nei contenuti.
L’interpretazione ideologia di un partito euroscettico, specie se postideologico, va quindi affrontata con più di una chiave di lettura che permettano così di analizzarlo cromaticamente da più punti di vista: per esempio l’ambito del lavoro, dell’immigrazione, dell’istruzione, della cultura e così via. In un contesto come questo la comunicazione di un partito è diventata ancor più essenziale. Mi ha molto colpito, per esempio, l’analisi comunicativa di Nigel Farage e di Pablo Iglesias, appartenenti rispettivamente ad un partito inglese postideologico e ad un partito spagnolo come Podemos, ancora legato ad una colorazione tradizionalmente e fortemente sinistrorsa. Un diffuso utilizzo di figure retoriche come l’anafora accomunano i due leader, così come le immagini forti che dipingono nei loro discorsi: «L’EuroTitanic è come contro un iceberg», utilizzate per esempio dal front man inglese per il Leave. Una comunicazione che ha evidenziato anche una contraddizione in Spagna: da un lato i sondaggi affermano che l’intenzione della Spaxit prenda campo nell’elettorato, un’uscita dall’euro che però Podemos non ha mai cercato.
Particolare anche la situazione dei movimenti indipendentisti spagnoli, in cui incide la differenza tra l’area catalana e l’area catalofona. In occasione di un mio viaggio a Barcellona intervistai un noto tifoso del Barcellona per una testata sportiva, chiedendogli dettagli politici ed ideologici circa la situazione indipendentista. Apparentemente molto preparato e coinvolto, mi rivelò che c’è un fortissimo dibattito interno nel movimento indipendentista circa un’eventuale uscita dall’Unione Europea oppure dall’euro. Un dibattito che spesso viene nutrito dalla natura populista che questo tipo di indipendentismo porta irrimediabilmente con sé.
In conclusione, una frase su tutte mi ha colpito dell’intervento finale di Pier Virgilio Dastoli: «Ogni nazione ha il suo euroscetticismo nazionale, tutti con in comune per la maggior parte solo l’etichetta stessa di euroscetticismo». Un macrocosmo, quindi, di entità politiche che spesso si professano vicine a discapito di enormi differenze di matrice tecnica, culturale ed ideologica. Un macrocosmo il cui futuro e la cui permeabilità rimane ancora difficilmente prevedibile.