Pubblicato su Io Gioco Pulito, inserto sportivo online de Il Fatto Quotidiano, in data 21/08/2016.
Ci sono persone che si rassegnano vivendo una carriera mediocre nel proprio Paese, forse per colpa della paura di osare. Poi ci sono uomini che invece dimostrano coraggio, spirito d’iniziativa e soprattutto grande curiosità. Uomini, come il trentenne Giacomo Ratto, che partono da una città di circa 80 mila abitanti per raggiungere l’Oceano Pacifico oppure la terra che fu di Gengis Khan. Con un’insanabile voglia di viaggiare e con innumerevoli sogni nello zaino. Oppure nella borsa da calcio, per meglio dire.
Cresciuto nel settore giovanile del Bosto, società importante nel panorama giovanile lombardo, Giacomo Ratto completò il settore giovanile tra le fila del Varese, la squadra della sua città. Nel suo palmarès può vantare due campionati di Promozione vinti con Luino e Tradate nel 2005 e nel 2006, impreziositi da qualche presenza in Eccellenza. «Per arrivare tra i professionisti ci sono tanti fattori determinanti», afferma Giacomo, «come qualità fisiche, tecniche, mentali ed un pizzico di fortuna». La svolta della sua carriera arriva nel 2012 in Promozione, quando iniziò a collaborare con il preparatore dei portieri Andrea Callegarini, con la maglia del Leggiuno. «Mi insegnò a parare in maniera differente», racconta l’estremo difensore. «Il mio rendimento era molto alto e tornai a credere che forse avrei potuto fare di più nel calcio». «In Italia il mio mercato era dilettantistico perché», spiega, «quando ti etichettano o non sei nel giro giusto o sei morto». «Decisi quindi di cercare a Malta e da lì iniziò tutto», conclude Giacomo.
Prima dell’esperienza maltese il portiere varesino ha avuto due esperienze in Svizzera: al Castello ed al Mendrisio. «Un ottimo calcio, vissuto in maniera più leggera rispetto all’Italia», racconta Giacomo. «In Svizzera ci sono arrivato tramite email», rivela, «mettendomi d’accordo con il presidente dopo aver trovato il suo indirizzo di posta elettronica». Ma era solo l’inizio. Nel dicembre del 2012 arriva la chiamata di Mario Muscat, leggenda del calcio maltese grazie ai suoi 21 anni in difesa dei pali dell’Hibernians, società della sua città natale. «Gli inviai video e curriculum chiedendo qualche contatto», racconta Ratto, «e mi contattò dicendomi che una squadra cercava un portiere ed era interessata». Un accordo trovato rapidamente, sinonimo della grande voglia del portiere varesino: «fu tutto molto rapido in quanto il direttore mi chiamò il 26 dicembre ed il 3 gennaio era già a Malta». Al Victoria Wanderers «arrivai che eravamo penultimi e chiudemmo al terzo posto», ricorda il portiere, «ed era un calcio molto fisico in stile inglese». Un’avventura che terminò a fine campionato poiché «abbassarono il limite degli stranieri e preferirono continuare con un portiere maltese».
Nell’ottobre 2013 arriva la prima avventura fuori dall’Europa, tra le fila dei panamensi del Tauro. «Arrivai a Panamá tramite il preparatore dei portieri», ricorda Giacomo, «che fu poi egli stesso il motivo per cui me ne andai». Vestì la camiseta dei Toros per tutto il precampionato ma poi «decisi che non c’erano le condizioni per continuare», compresi problemi con il preparatore di cui «preferisco non parlare», conclude l’estremo difensore. «Ancora oggi mi sento con il presidente Giampaolo Gronchi», ricorda l’estremo difensore, «una persona stupenda». «In quei mesi avevo creato un bel feeling con il gruppo», di cui ricorda soprattutto Luis “Matagatos” Renteria: «Ragazzo con il quale avevo legato molto e che morì alcuni mesi dopo per una malattia rara». Indimenticabile lo spogliatoio della Pedragaleña, il campo di allenamento, «coperto solamente da una tettoia che lasciava scoperte le docce sotto le stelle». Nel luglio 2014, grazie all’agente Carlos Francisco Fariñas, si muove in Nicaragua per vestire la camiseta dell’UNAN Managua. «Un calcio di buon livello», racconta Giacomo, «ma con carenze di infrastrutture utili per il salto di qualità». «Andò abbastanza bene anche se arrivai nel momento sbagliato in quanto», continua il portiere, «l’anno dopo vinsero il torneo di apertura e persero per un pelo l’accesso alla CONCACAF Champions League». La sua avventura nicaraguense finì quando ricevette un’offerta dal Khoromkhon, una delle due squadre più prestigiose della Mongolia, impegnata nell’AFC Cup, la seconda competizione asiatica per club. In virtù di quest’accordo rifiutò anche un’offerta dai costaricensi del Municipal Liberia dopo una prova di tre giorni, ma il suo trasferimento in Mongolia saltò improvvisamente: «Ad una settimana dal rientro in Italia mi comunicarono che il Khoromkhon fu escluso dalla competizione e che sarebbe entrato nelle fasi di qualificazione della competizione successiva».
Dopo il mancato accordo con una squadra albanese nel gennaio 2015, arriva il momento della sua avventura nelle Isole Figi, nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico. Accordatosi con l’allenatore Gurjit Singh, con il quale si era scambiato materiale video e cartaceo, inizia così la sua esperienza con i figiani del Suva in un «calcio fisico con tattica quasi inesistente nonostante la presenza di giocatori di talento». «Nel campionato locale non possono giocare stranieri», racconta il portiere, «per cui li prendono solamente per la OFC Champions League», la massima competizione oceanica per club. Un’avventura, quella in coppa, che è terminata ai gironi contro Auckland, Amicale e Western United, a cui però non ha potuto prendere parte a causa di un problema di tesseramento. «Un aneddoto per così dire divertente», racconta, «è quando io ed il mio amico Adrian ci siamo ritrovati a dormire su un materasso sottile per terra quando ci spostarono dall’hotel al campo di allenamento». «Spiagge, atolli ed un mare stupendi», ricorda Giacomo, «così come la gente fantastica che ho conosciuto». Dopo le Figi è ritornato in Svizzera, al Taverne. Un’esperienza iniziata grazie ad un suo amico in comune con l’allenatore, il quale «cercava un portiere e mi ha chiesto di rimanere dopo un allenamento di preparazione». Esperienza finita non nel migliore dei modi: «L’avventura è finita per un infortunio con mancato pagamento del mese di stop». «Come puoi immaginare ho deciso di andarmene quando ho capito che non avrebbero pagato», conclude il portiere.
L’esperienza che gli ha regalato emozioni più contrastanti è sicuramente quella in Zimbabwe. Sbarcò nel febbraio 2016 nel distretto Tsholotsho, a circa 500 km dalla capitale Harare, grazie al lavoro di due agenti portoghesi: Mario Texeira e Diego Martins. Avrebbe dovuto giocare in Premier Soccer League con un contratto annuale, già pronto e da firmare in loco in via cautelare in presenza del suo agente, ma qualcosa andò storto. «L’Africa è un continente incredibile», ricorda amaramente il portiere varesino, «ma purtroppo rimasi solamente un mese». All’origine di questa situazione c’era il rapporto con Lizwe Swewe, allenatore dello Tsholotsho. All’interno dei trenta giorni del visto il portiere partecipò alla preparazione precampionato e giocò nel Bulawayo Football Festival, un torneo locale a quattro squadre. Le prestazioni dell’italiano furono giudicate di buon livello dai compagni di squadra e dal pubblico. Tuttavia trovò l’ostruzionismo dell’allenatore, il quale era ancora legato all’ex portiere Chang Maryoni, andato via con il benestare della dirigenza nonostante il suo dissenso. «Ratto è ancora in prova qua e non l’abbiamo ancora messo sotto contratto», affermò Swewe come riportato in un articolo di The Zimbabwe News. «Lo stiamo ancora osservando», aggiunse, «entro fine settimana forse sapremo con certezza se ingaggiarlo». Giacomo decise così di non allenarsi, in quanto gli accordi non erano quelli di un periodo di prova. Così non giocò la successiva amichevole in programma la domenica tra lo stupore della gente, tornando ad allenarsi il lunedì dopo che il presidente apparentemente sistemò le cose. «Ad un solo giorno dalla scadenza del visto arrivò l’agente», rivela Ratto, «quindi l’allenatore spinse il presidente a non farmi firmare il contratto e convinse l’ex portiere e fare ritorno allo Tsholotsho».
Non era tutto. «C’era stato un caso di calcioscommesse», spiega Giacomo, «e si chiedevano come mai un italiano andasse a giocare lì». Contattato da un giornalista del sito zimbabwiano Chronicle, l’agente portoghese Mario Texeira rispose seccato alle accuse, dichiarando che è come chiedere «perché un coach portoghese o olandese allenino in Zimbabwe» e che anche «un campione come Maradona scelse se firmare per una squadra meno blasonata come il Napoli». «Tutto manovrato dall’allenatore con alcuni amici giornalisti», ribatte amareggiato il varesino. Un vero peccato, soprattutto alla luce del rapporto che si era creato con i suoi compagni. «Ti rivogliamo qua in Zimbabwe», gli scrisse per esempio il compagno di squadra Buthoe, «continua a lavorare sodo». «Nonostante tutto è stata l’esperienza calcistica più bella», conclude Ratto. Il varesino ricorda anche un aneddoto che gli è rimasto impresso, riguardante una leggenda del calcio zimbabwiano come Joel Luphahla, allora team manager del Tsholotsho. «Finito il torneo Joel mi portò a mangiare una pizza e mi vide il pizzaiolo», racconta, «il quale mi fece i complimenti per la prestazione». «Dopo il Bulawayo il presidente e Joel mi portarono a scegliere la casa», conclude, aggiungendo che «incontrai il portiere del Bulawayo City che mi fece i complimenti e mi chiese come mai non fossi andato da loro».
Da lì poi l’esperienza attuale, in Mongolia all’Ulaanbaatar City, con un contratto che durerà fino a metà ottobre. Un’avventura nata quasi per caso. «Contattai l’allenatore del Cape Town perché il mio obbiettivo era di giocare in Sud Africa», rivela Ratto, «ma lui stesso si trasferì in Mongolia e mi fece contattare dalla società». Un’esperienza affascinante il cui ostacolo maggiore è la lingua, in quanto i compagni non parlano inglese e quindi la comunicazione è complicata. «Qui ho imparato qualche parola di mongolo e russo», racconta divertito, «ma per lo più i miei compagni mi hanno insegnato parolacce in lingua». Eppure l’occasione di giocare finalmente una competizione internazionale per club sembrava essere arrivata quando gli haitiani del Don Bosco l’hanno contattato per ingaggiarlo in vista della fase a gironi della CONCACAF Champions League. Un girone, quello degli haitiani, nel quale avrebbe affrontato i messicani del Monterrey ed i panamensi dell’Árabe Unido. «Erano sei mesi di contratto ed il club ha insistito molto per portarmi a Port-au-Prince», la capitale di Haiti. «Purtroppo l’offerta è arrivata tardi», conclude Giacomo, «poiché con il mio agente Diego Martins ci siamo resi conto che non avevamo il tempo di convincere il mio club a svincolarmi».
Un’esperienza di vita che l’ha portato ad imparare discretamente l’inglese e perfettamente lo spagnolo. Simpatizzante del Torino grazie a suo nonno, grande tifoso granata, la lingua iberica la deve soprattutto ad una delle sue più grandi passioni: il Deportivo La Coruña. «Ho imparato lo spagnolo da autodidatta», spiega Giacomo, «ascoltando le partite del Depor via radio e traducendo gli artículi di giornale». Una vera e propria “malattia” iniziata nel 1999 quando, svegliandosi all’alba per andare a giocare a Bergamo contro l’Atalanta, vide in TV una replica della partita della squadra galiziana contro il Betis Siviglia.
Dopo ottobre quale sarà la sua prossima meta? «Dopo questa avventura in Mongolia vorrei tornare in Africa e fare un campionato intero», rivela Giacomo, «per poi magari arrivare a giocare in Sud Africa». Una carriera quella di Giacomo, che assume le connotazioni di un viaggio continuo. «Tutto ha avuto inizio con Malta», afferma Giacomo tracciando un bilancio, «ma non mi pento di nessuna scelta perché ognuna di esse ha aggiunto qualcosa alla mia esperienza di uomo». «Oltre che conoscere culture calcistiche differenti», continua, «girare il mondo ti permette di conoscere stili di vita e di pensiero totalmente differenti dal nostro», in grado di «renderti ricco come persona». Quella in Africa è stata indubbiamente l’esperienza che più l’ha segnato. «L’Africa ti insegna cos’è la vita», conclude, «poiché la gente è sorridente e felice anche se ha poco e questo suo lato spesso non viene raccontato».
Dove ti vedi tra dieci anni? «Vorrei fare i corsi necessari per prendere il diploma da allenatore UEFA Pro», palesa Giacomo, «per mettere in pratica le mie idee calcistiche». «Vedremo che succederà da qui a dieci anni», conclude Giacomo. E soprattutto dove sarà, viene naturale aggiungere.