Pubblicato su Io Gioco Pulito, inserto sportivo online de Il Fatto Quotidiano, in data 26/03/2016. Inoltre, articolo che nel novembre 2016 è valso il terzo posto nella IV edizione del Premio Nazionale di Giornalismo Sportivo intitolato a Sergio Pannocchia, istituito dal Circolo Culturale Il Grandevetro in collaborazione con il Comune di Santa Croce sull’Arno (PI), riservato a giornalisti Under 35.
Sono circa tre ore e mezza di volo quelle che separano Amsterdam da Mosca. Una distanza che si annulla, che quasi si volatilizza, se da un capo all’altro stazionano due rivoluzionari come Johan Cruijff e Vasilij Kandinskij. Un calciatore ed un pittore. Un artista con i tacchetti ed un artista con il pennello. Due uomini che hanno saputo far voltare pagina ai loro rispettivi mondi. Due mondi così lontani che ciclicamente si avvicinano, come se fossero due pianeti in orbita. E quando ciò avviene nulla è come prima. Tutto ciò che sta intorno quasi si ferma, e lo spettatore può solo ammirare.
Una rivoluzione che convola a nozze con la geometria. Un punto ed un spazio, come indicato da Vasilij nel suo saggio Punto, linea nel piano. Ovvero un ente inteso come estrema essenzialità, la cui traslazione nello spazio infinito può permettere di creare una linea. Un ente che è figlio legittimo del pittore che tocca la tela con il pennello, senza il quale non esisterebbe. Lo stesso rapporto necessario che intercorre tra un pallone su un campo da calcio e l’artista con i tacchetti. Quindi, un punto ed uno spazio come un pallone ed un campo da calcio, una linea come una giocata. Ma non tutte le linee sono uguali: il punto, così come il pallone, può partorire linee più sinuose o autentiche spezzate. Quale il rapporto? Abbiamo così l’antitesi tra la lietezza e la drammaticità. Lo stesso rapporto, per quanto riguarda Johan, che intercorre tra la sua celebre finta di cross con il tacco ed il suo famoso goal in spaccata all’Atlético Madrid dall’altro. Da un lato un’eleganza sopraffina che allieta gli occhi, dall’altro un gesto secco ed aggressivo nei confronti del concepibile.
Due luoghi e due momenti forse sintetizzano al meglio il “prima” ed il “dopo” nella storia della loro vita e del loro ambito artistico. Per Vasilij un tramonto mentre rientrava nel suo studio a Monaco. Per Johan la finale di Coppa dei Campioni del 1972 a Rotterdam. Da un lato l’artista russo, tornato nel suo luogo di lavoro, fu colto da un’intensa emozione vedendo un suo dipinto girato al contrario baciato dalla luce del tramonto, le cui forme non erano quindi riconoscibili. Da lì si convinse della dannosità dell’oggetto nei suoi dipinti se non in grado di veicolare le sue emozioni, decidendo definitivamente di spingere il suo modo di intendere l’arte nella direzione della geometria e dei colori. L’unico modo, secondo lui, per poter cogliere la bellezza. Una bellezza raggiunta dall’Ajax del tecnico rumeno Stefan Kovács: il cosiddetto “calcio totale” contro l’Inter di Giovanni Invernizzi, l’attore non protagonista che interpretava la parte del calcio che stava per essere superato. Il calcio della bellezza geometrica e dell’armonia tra i reparti, contro il calcio del “catenaccio” e della tattica. Una finale decisa proprio dallo stesso Johan con una doppietta che sapeva di spartiacque.
Sono feconde in questo contesto anche le impressioni sui colori dell’artista russo. Curioso come il verde dell’erba dei campi di calcio «non si muove in alcuna direzione e non ha alcuna nota di gioia, di tristezza, di passione, non desidera nulla, non aspira a nulla. È un elemento immobile, soddisfatto di sé, limitato in tutte le direzioni». Quasi come se aspettasse che qualcosa lo illumini, che qualcosa lo faccia risplendere. Un qualcosa come il genio rivoluzionario di Johan, ovvero un’aggressione allo status quo che invece si sposa con il giallo kandinskijano, «il colore più prossimo alla luce» al punto che «l’occhio ne viene allietato, l’animo si rasserena: un immediato calore ci prende». Un giocatore che ha saputo illuminare una nazionale intera, l’Olanda, di cui ha saputo essere la ciliegina sulla torta. Appunto, l’Olanda, da sempre identificata in maniera indissolubile con l’arancione, un colore energico e dinamico secondo Vasilij, diretto discendente del giallo. Quasi come se Johan sia riuscito ad irraggiare un intero panorama calcistico nazionale. Nutrendolo ed aiutandolo ad evolversi. Mutandolo per sempre.
Una ricerca della bellezza che da un lato culmina quindi nell’astrattismo e che dall’altro riesce a generare una reazione nelle papille gustative dei tifosi del Barcellona, dopo il suo arrivo dall’Ajax. Jorge Valdano, ex attaccante argentino nonché attaccante del Real Madrid, rivale romanticamente storico dei Blaugrana, ha affermato che «quello che ha lasciato nel Barcellona è una sorta di testamento ideologico», in quanto «ha influenzato il gusto del calcio degli spettatori e li ha educati a tal punto che oggi è impossibile pensare di poter vincere in questa squadra senza giocare bene».
Nel suo Punto, linea nel piano, Vasilij afferma che «l’arte oltrepassa i limiti nei quali il tempo vorrebbe comprimerla, e indica il contenuto del futuro». In questo senso, entrambi hanno avviato una rivoluzione. Da ieri quella dell’olandese è divenuta immortale poiché Johan si è adagiato tra le braccia della storia dopo una lunga malattia. Circa settantadue anni dopo il suo “collega”. Il tempo può solo restare a guardare.
Спасибо Василий. Dank Johan.