Relazione relativa al seminario accademico “La Turchia contemporanea: ambizioni internazionali e dialettica interna”, svoltosi presso l’Università degli Studi di Genova nell’aprile del 2015.
SOFT POWER DELLA TURCHIA. Nel 2012 la Turchia ricopriva il ventesimo posto nel Soft Power Index, ma la sua posizione è in netta risalita. Il soft power, inteso come potere di influenzare gli altri nelle relazioni internazionali con diplomazia, storia e cultura, negli Stati Uniti d’America può essere ben rappresentato dall’iPhone, da Windows e dalla TV a stelle e strisce. Da cosa viene caratterizzato il soft power? Principalmente da tre componenti, ovvero l’influenza culturale (arte, letteratura e cinema), dalle decisioni in politica estera e dai valori politico-istituzionali. Perché il soft power di un Paese nell’ambito della politica estera sia rilevante, essa non deve essere “arrogante”, bensì per esempio deve passare da organizzazioni internazionali come l’ONU. Per quanto riguarda gli USA, basterebbe pensare alla grandissima quantità di contenuti americani nella TV italiana. Da cosa dipende il potere di un Paese? Sicuramente da quattro fattori, ovvero le risorse a disposizione, i mezzi impiegati, l’intensità ed il raggio d’azione che, per quanto riguarda il soft power, va oltre il potere politico. Cosa hanno in comune soft e hard power? Il minimo comun denominatore tra queste due tipologie di potere nelle relazioni internazionali sono le risorse a disposizione.
SETTORI FLORIDI CIRCA IL SOFT POWER. Alla Turchia di oggi manca una forte economia, quindi un’università ed una TV riconosciute nel mondo e che trasmettano informazioni ed i loro contenuti. Nonostante queste carenze, in alcuni settori il Paese ricopre il ruolo di leader, almeno per quanto riguarda il Medio Oriente. Basti pensare al made in Turkey nei dolciumi, che in Europa non può competere con la Lindt ma che per esempio in Egitto detiene quasi il monopolio. Oppure alla compagnia aerea Turkish Airlines, l’unica che sostiene le spese d’assicurazione per permettere ai suoi passeggeri di volare fino a Mogadiscio e Katmandu. Oppure al fatto che il 78% degli abitanti del Medio Oriente (compreso Israele) ha visto almeno una serie TV turca; basti pensare che vengono viste anche in Italia su Babel (in onda su SKY) ed in Brasile, il leader delle soap operas. Nel cinema, invece, il regista turco Nuri Bilge Ceylan ha ricevuto due premi al Festival di Cannes. Infine, dal 2012 al 2013 il numero di studenti stranieri in Turchia è aumentato di sei volte.
LIMITI COMUNICATIVI. Perché non cresce proporzionalmente il soft power turco? Sicuramente per l’incapacità di raccontare una sua immagine, come nell’emblematico caso del genocidio armeno. Manca di un canale come Al Jazeera in grado di trasmettere la propria visione degli eventi ed i propri valori. In poche parole, per il soft power del Paese, servirebbe uno Steve Jobs turco.
OPINIONI SULL’ANNESSIONE ALL’UE. Quando si parla dell’iter di candidatura di un Paese all’Unione Europea spesso, per rappresentarne la complessità, si legge la seguente provocazione: «Se l’Unione Europea si candidasse a se stessa non verrebbe accettata». Per quanto riguarda alcuni sondaggi effettuati, il 47% degli europei intervistati vorrebbe la Turchia nell’UE, mentre solo il 45% dei turchi vorrebbe l’annessione. Questo quadro sintetizza a pieno la conflittualità dei pareri cerca quest’istituzione europea.
MOVIMENTO GÜLEN. Il predicatore e politologo Fethullah Gülen è riuscito nell’intento di creare una sorta di network o comunità turca caratterizzata da centri di dialogo interreligioso. Per le famiglie conservatrici, le case di Gülen rappresentano un importante punto d’appoggio in cui mandare i figli nel caso decidano di studiare ad Istanbul, per esempio, considerata vero e proprio luogo di perdizione nel Paese. Il potere di questo movimento è cresciuto negli ultimi anni. Dal 1986 controlla il giornale Today’s Zaman, in quanto gestito da persone a lui vicine. Ma non solo, in quanto “controlla” una radio ed un canale televisivo. Infine, il movimento si è dotato di una rivista ufficiale. Le ragazze della comunità sono quasi tutte velate, ma il leader ha affermato pubblicamente che non sarebbe necessario, specie per le lavoratrici nelle istituzioni pubbliche.
TURCHIA, TRA SFERE DI ESPANSIONE E NON SCHIERAMENTO. La Turchia di oggi vive una situazione nella quale sta cercando di farsi spazio in tre ambiti distinti delle relazioni internazionali, in quanto sta cercando di entrare nell’Unione Europea, sta cercando di diventare Paese cardine del Medio Oriente e vuole mantenere un ruolo importante per quanto riguarda l’Islam. Tuttavia, alcune sue scelte rischiano di relegarle un ruolo di non centralità e quindi indifferenza. Per esempio per il suo non schierarsi apertamente nella situazione ISIS, ma non solo. Anche, per esempio, per le critiche rivolte all’Iran per alcune sue scelte di politica estera, ma in seguito alle quali è stata poi organizzata una visita a Theran dieci giorni dopo.
DIVERSA CONCEZIONE DI LAICITÀ. Infine, mi ha colpito molto la discussione che si è venuta a creare nel dibattito in seguito ad una mia domanda sulla laicità. Non pensavo che potessero esistere della scuole di pensiero in merito, in quanto ho sempre avuto nella mia testa un concetto di laicità intesa come netta indipendenza tra sfera religiosa e sfera “mondana” (intesa come sfera a cui appartengono politica, amministrazione, economia ma anche la forma mentis del popolo nelle situazioni pratiche). Essendo quindi, dal mio punto di vista, due sfere che dovrebbero essere indipendenti, io non considererei come Paesi laici sia gli USA sia la Francia, in quanto rappresentano forse i due estremi opposti della questione: in uno ogni discorso del presidente termina con un «in the name of God», nell’altro viene praticato un certo ostruzionismo per quanto riguarda i cenni alla religiosità in pubblico.